Un percorso netto, impercettibile nel suo travaglio, evidente nei risultati, conduce Marina Corona dal canzoniere de L’ora chiara a questo nuovo, e più luminoso, I raccoglitori di luce. I due titoli si legano strettamente: dalla percezione della sostanza luminosa alla raccolta della stessa, dall’appercezione alla ricerca, dal brivido alla volontà. Si mantiene la notevole coesione narrativa all’interno di un dettato lirico, ma le immagini sono più nette, o più fermo il dettato.
Mentre cerca fisicamente di toccare la sostanza della luce, ovvero l’aerea struttura scheletrica del mondo, la causa invisibile del visibile, Marina Corona, rispetto al libro precedente, va avanti (nella già sottolineata maggiore limpidezza) e torna indietro, nel senso che si avvicina a quella zona di origine che costituisce la meta e il mito di tanti poeti, un aurorale primordio delle cose, che non è visione di un Eden perduto, ma rigenerazione dell’esistente, rinnovamento attimico e incessante del mondo colto nei suoi istanti, amato poeticamente e quindi narrato nei versi: «un segreto mi fa sottile / mi lascia toccare le mani dell’aria».
Roberto Mussapi