Siamo già oltre il Novecento. Scritte negli ultimi anni di quel secolo, queste poesie, di un autore già riconoscibilissimo e ancor giovane, testimoniano il brivido di metamorfosi dall’età dell’inquietudine e del dramma a una nuova, aurorale, seppur non meno tormentosa, epoca di rinascita. Non nel senso di un miglioramento del mondo, che proprio non risulta, ma di riformulazione della speranza.
Rinasce la necessità del sacro, naturale quanto la fame del pane, anche se non necessariamente destinata a esito pieno. Impregnato della poesia più alta e animicamente fertile della modernità, da Yeats a Luzi, profondo conoscitore dei percorsi spirituali mistici visionari, dal mondo cristiano all’estasi dei sufi, Masson crea una sorta di nuova visione del mondo: le immagini si fissano e dilatano in tutta la loro significanza, ma un forte impulso motorio, narrativo, le mette in azione, le fa vedere nel loro vivere, ne fissa l’anima naturante nel suo operare incessante. La straordinaria dinamica luce-buio, metafora novecentesca dell’angoscia nei capolavori beckettiani, esce da quell’aura epocale di immobilità e si ripresenta nel moto originario, creaturale, animico, in un libro di grande energia e di visività luminosa, grazie anche alla traduzione d’autore di Marco Vitale: «Allora dissi: proviamo ad inventare la luce/ che in uno sguardo solo si nasconde».
R.M.